Lorenzo Viani: “Vele rosse e gialle” #angioilfilm

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Lorenzo Viani: “Vele rosse e gialle” (Clicca l’immagine per ingrandire)

Lorenzo Viani: “La Narrativa – da Wikipedia: “L’opera narrativa di Viani costituisce un esempio tipico di espressionismo dialettale, le sue origini sono in una visione sconvolta delle cose, turbata dal profondo, che si traduce in un’esasperata deformazione dei paesaggi come dei volti umani, lo scrittore si serve di una straordinaria ricchezza verbale, attinta al fondo dialettale viareggino, al gergo marinaro o soldatesco o furbesco, dove più gli è possibile ricavare, esasperazioni espressionistiche.

II dialetto della Versilia e della Lucchesia, così vivace nella lingua di Enrico Pea, diventa lirico fervore in Lorenzo Viani, pittore espressionista che comincia a diventare famoso all’inizio degli anni Trenta. Viani non è il solo, nella letteratura del secolo, in cui pittura e scrittura si danno la mano illuminandosi a vicenda come nei casi di Ardengo Soffici Luigi Bartolini e Filippo De Pisis, ma resta davvero singolare come il suo estro di scrittore, che prese l’ispirazione dall’impressionismo che si respirava attorno alla rivista letteraria La Voce, debba molto al disegno, al carattere mosso e deformante della sua attività dì pittore.
Dal Viani al suo modo un po’ provinciale di richiamarsi al “Manipolo dell’Apua” , che ebbe in Ceccardo Roccatagliata Ceccardi il suo alfiere, e a una rozza base di contestazione civile, poco ci si dovrebbe attendere dall’immaginazione dello scrittore, viceversa, il taglio della sua prosa, visivo e spesso allucinato, la variegata galleria di tipi derelitti e folli da lui adunata su una base di ingenua fraternità, spezzano in più d’un tratto nei romanzi Parigi Angiò e Uomo d’acqua, quella sorta di compiacimento anticonformista e antiborghese prevalente in certi scritti, sui quali l’autore volle crearsi una piccola leggenda, esponendosi in prima fila con storie che oggi non interessano più. E ci si riferisce in modo particolare ai ricordi autobiografici, distribuiti in Gli ubriachi (1923) o in Il figlio del pastore (1930), e in vari altri libri formati da artìcoli (ne scrisse circa trecento) dove campeggiano i Vàgerì,[1] che sono insieme protagonisti del lessico di Viani e della sua tensione ideale verso la vita e l’avventura. Il meglio dì questo scrittore sta dunque nella riuscita involontaria, come in Angiò (1928), dove la condizione del nano, uomo di mare e sconfitto dal mare medesimo, tocca punte dì allegorica pietà. Ma a Viani interessava, raccontando la miseria dei luoghi, come più tardi sarà ne Le chiavi nel pozzo (1935) l’osservazione del manicomio, soprattutto il calarsi in quell’aspro ambiente di rivolta, per attentare da semplice dinamitardo di provincia alla letteratura e all’arte composta da altri, definiti dallo scrittore con malcelata supponenza “i vincitori” baciati dal successo.

Nel 1924 Viani scrive Giovannin senza paura, versione dedicata ai giovani lettori del noto racconto dove il coraggio si lega alla follia. La versione dello scrittore viareggino compenetra alcuni tra gli scritti precedenti tra cui quelli dello Straparola, dei Fratelli Grimm e di Giuseppe Pitré per citarne alcuni, realizzando una trama più fedele alla realtà dei fatti. L’opera di Viani pur non contenendo aspetti magici tipici della storia di Giovannino ripercorre, comunque, le tappe essenziali del racconto fiabesco. La storia ci dice che il coraggioso (e folle) protagonista (Giovanni Bianchi) viaggia senza un criterio e quando scopre, veramente, la paura (dolore) si ravvede e continua a vivere. La storia ha connotati e riferimenti tipici della vita marinaresca dell’inizio del 900 in Versilia, e può dirsi uno spaccato delle misere condizioni locali di quel periodo.

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